Organizzate una cena. Dovete scegliere cosa offrire, naturalmente. Che abbiate delegato la cucina o vogliate cimentarvi ai fornelli, quello che mangeranno i vostri ospiti parla dell'attenzione che riservate alle cose del mondo.
Le serre, l'allevamento intensivo e l'importazione dall'altro emisfero hanno annullato la schiavitù delle stagioni: senza riduzione sostanziale di quantità (basta affrontare i costi), tutto si trova: fragole a Natale, pomodori freschi sempre, arance a giugno.
Le cose cambiano, certo, e di solito cambiano in meglio: chi rimpiange il tempo in cui si ammazzava il maiale "di stagione", ne dimentica i tassi di mortalità infantile. Ma a patto di dedicare un centesimo del nostro tempo a scegliere ciò che mangiamo (senza subire passivamente la grande distribuzione, insomma), la varietà di prodotti dei nostri tempi ci offre l'imbarazzo del libero arbitrio gastronomico.
Alzi la mano chi non ha mai lasciato cadere nel carrello del supermercato una "ex primizia" (anche le primizie non sono più tali, visto che non si sa bene, oramai, prima o dopo cosa dovrebbero venire). Alzi la mano chi è riuscito ogni volta a razionalizzare la propria scelta indirizzandosi verso proteine animali ottenute senza forzare la natura delle bestie: non abbiamo mani da alzare, è evidente.
Tutto questo premesso, e aggiunto che le crociate non ci appartengono per cultura, crediamo che un piccolo sforzo verso una più attenta alimentazione - oltre a dare beneficio alla salute, è chiaro - rappresenti ormai un nuovo precetto di buona educazione. Non che si debba star dietro a tutto, però accostarsi pian piano all'idea che offrire vitelli all'estrogeno, spigole antibiotiche, mele anticrittogamiche eccetera eccetera, oltre a essere poco salutare sia anche poco bontòn - perdonateci! - ve lo consigliamo.
Insomma, anche una bella tavola apparecchiata, anche il piazzamento giusto, anche una conversazione impeccabile possono essere vanificati dall'offerta di un cibo "scorretto".
Verdura e frutta di stagione, piatti regionali, animali allevati con rispetto, prodotti di origine certificata. Non è difficile, anche senza spendere (tanto) di più. Al consumo, un uovo di galline torturate costa intorno a 0,20 euro. Se la gallina è stata allevata a terra (quindi oltre a vivere "un po' meglio" ha probabilmente assunto meno medicine, che altrimenti ritroveremo in tuorlo e albume) lo stesso uovo può arrivare a costare 0,35 euro. Si può fare, no?
A proposito, offrire una frittata non è affatto disdicevole. Una di asparagi di campo, magari, in questa stagione.
Nell'innaturale assenza di socialità dei giorni che viviamo, la pubblicazione di un libro per la formazione di aspiranti organizzatori di eventi può apparire al tempo stesso un azzardo e una manifestazione di fiducia. Ne parliamo sposandone gli auspici.
Si intitola Event Manager. Lo ha scritto (in inglese) e autopubblicato Daniela Liccardo. Si trova, gratuitamente, su Amazon in formato kindle (il cartaceo costa 13 euro). Dal libro abbiamo riassunto un decalogo di suggerimenti.
Una volta ottenuto un incarico (dal ricevimento di matrimonio al raduno di automobili, non importa se grande o piccolissimo) è indispensabile:
1) impiegare un tempo, pur breve, per capire che tipo di evento sia possibile realizzare, compatibilmente con quel che domanda il cliente; per farlo vanno raccolte tutte le informazioni necessarie in termini di possibilità, location, fornitori e relativi costi;
2) organizzare (a meno che - magari! - non se ne abbia già uno a disposizione) uno staff motivato e sereno con cui suddividere il lavoro, distribuendolo in maniera che ogni sezione faccia capo a una persona: sponsor - relatori e ospiti - iscritti - eccetera;
3) stilare una proposta comprensiva di budget ad hoc da far approvare al cliente e richiedere un acconto sulle spese (prima, è indispensabile individuare il target cui l’evento è diretto);
4) preparare un piano di comunicazione e di pubblicità adeguato, organizzare la comunicazione interna relativa a entrate e uscite di qualsiasi cosa (mailing list, lettere, materiali) predisponendo un archivio che permetta di aver sempre a disposizione ciò che serve;
5) realizzare e aggiornare una lista degli ospiti e dei relatori completo di informazioni relative a ogni categoria e a ciascuno dei partecipanti all’interno della propria categoria: viaggio, hotel, pick up, cena/pranzo, accompagnatori, allergie alimentari. Una lista in formato Excel è perfetta per ordinare facilmente qualsiasi “query” necessaria (quanti vegetariani, quanti voli da Madrid, quanti check in il primo giorno, quante partenze in anticipo eccetera).
6) recarsi sempre in sopralluogo ovunque (non sembri superfluo; anche se si conoscono già i posti, le poltrone di una sala convegni potrebbero essersi usurate, un titolare di ristorante invecchiato...). Per la scelta dei fornitori il prezzo è soltanto una delle componenti dell'offerta: qualità e professionalità sono requisiti fondamentali;
7) non lasciare nulla al caso. In corso d'opera le cose cambiano spesso, è normale, ma ogni imprevisto, se "appoggiato" su un piano oliato, può essere risolto. Più di tutto, qualsiasi cosa succeda NON BISOGNA MAI FARSI PRENDERE DAL PANICO. La calma di chi affronta il problema rappresenta la metà della soluzione;
8) curare ossessivamente la scelta del personale "il loco" (facchini, autisti, guide). Le hostess in particolare devono essere rassicuranti, indossare una divisa semplice, mai portare il tacco alto (a parte, ove necessario, la sera) preferibilmente usare lo stesso colore di rossetto/smalto e tenere i capelli legati;
9) non dimenticare che i dettagli sono molta parte del successo: i colori dei fiori, le alzate sui buffet, i centrotavola, la cartellonistica, la grafica dei programmi, degli inviti, dei menu. Atrettanto, non trascurare che il responsabile dell'evento è il primo ad arrivare e l'ultimo ad andare via, mangia se può, siede se può...
10) (utilissima per il futuro) alla fine dell'evento ringraziare con lettere/email personalizzate tutti coloro che a diverso titolo vi hanno preso parte. Innanzitutto i collaboratori, quindi i fornitori, gli sponsor, i relatori...
A tutti buona fortuna, di cuore, e a presto.
«Come mi chiamo? Chiamatemi Onorevole». Alessandro Trocino (sul Corriere della Sera di sabato scorso) afferma d'aver ricevuto questa (beffarda) risposta da una neoeletta "elegantissima, con tacchi a spillo", a margine della prima riunione dei parlamentari a cinque stelle in un albergo di Roma.
Se fosse vero, potrebbe essere una consapevole distrazione o paradossalmente apparire un segno della resilienza delle abitudini. Non avrebbero dovuto chiamarsi "cittadini portavoce"? Il fatto è che cambiar nome alle cose non sempre risulta esercizio agevole, nemmeno alla politica. Perfino ai regimi...
L'appellativo di Onorevole non ha fonte normativa. La pensata risale a una lettera del deputato Pasquale Tola pronunciata in Aula che cominciava così: "Onorevoli deputati". L'espressione venne ripresa poco dopo dal ministro degli Esteri Vincenzo Ricci e dal ministro della Giustizia Federico Sclopis. Accadeva nel maggio del 1848.
Subito il termine venne associato dall'antiparlamentarismo nazionale - spesso insonne e mai sconfitto - a un nonsoché di consociativo e compromissorio, ovvero condannabile in sé. Così nel marzo 1939 (quando più forte era la necessità di identificare il nemico nelle demoplutocrazie, con i loro orpelli rappresentativi) un foglio d'ordini a firma del Segretario del P.N.F. lo abolì: "L'appellativo di onorevole, insieme con il corrispettivo titolo di deputato, deve essere sostituito con la qualifica di consigliere nazionale, gerarchicamente superiore a quello di consigliere provinciale e di consigliere comunale".
Ma appena finito il fascismo, la vecchia abitudine tornò. E tornò "prima di subito", dal momento che, con la Costituzione repubblicana ancora da promulgare, la neo istituita Assemblea Regionale Siciliana, introducendo l'espressione "Deputato regionale", dette modo di chiamare "Onorevoli" gli eletti in quell'Assemblea.
Da allora, chiamarsi semplicemente "Consiglieri" è apparso svilente a molti, e a livello locale non si contano i tentativi di replicare l'esempio della Sicilia: da onorevoli deputati e senatori si è arrivati a onorevoli consiglieri regionali e addirittura, in qualche caso, a onorevoli consiglieri provinciali e comunali (Roma Capitale è recentemente insorta - nel 2016 - di fronte al tentativo di formalizzare l'abolizione del titolo, proposto da Marcello De Vito, del M5S; iniziativa curiosa, almeno sul piano formale, dal momento che nessun atto formale lo aveva introdotto).
Sia detto, scivolandoci sopra, che le assemblee rappresentative degli enti locali non possono chiamarsi Parlamento né i consiglieri eletti possono autodefinirsi Deputati (tranne in Sicilia). Lo ha affermato la Corte Costituzionale in due sentenze del 2002 (nn. 304 e 306), con le quali affrontava il caso della decisione assunta in questo senso dalla Regione Marche nel 2001.
Quando e come dare dell'onorevole, a nostro parere, è scritto qui.
Certo, dell'abuso del titolo non può che dirsi ogni male possibile, ma buttare il bimbo con l'acqua sporca quasi mai serve a qualcosa. E non è un caso se nel nostro quotidiano politico, avvelenato e forse irreversibile, è impopolare perfino ricordare che a far di ogni erba un fascio di solito si lasciano i campi bruciati...